In un confronto serrato con prospettive e pratiche disciplinari diverse (dall'antropologia alla sociologia, dalla museologia alla pedagogia del conflitto, della marginalità e della devianza), il volume si interroga sulla valenza sociale del patrimonio culturale e della sua narrazione. Dai contributi emerge una visione dell'atto del narrare come risorsa per fare ed essere "comunità", antidoto al disincantamento e alla distanza, forma di attenzione ai temi della giustizia e di resistenza alla storia generalizzante e sommaria. Accogliere e custodire storie significa dilatare lo sguardo, creare lo spazio dell'ascolto, amplificare "le parole degli altri" che non hanno accesso al discorso pubblico (non solo storico, ma anche creativo ed estetico), ricucire i legami di senso tra le persone e il patrimonio, e tra le persone attraverso il patrimonio: un corpo vivo da attraversare, scompaginare, fare letteralmente proprio; perché gli si possa dare nuovamente origine, perché si possano fare nuove le cose.