Che cosa lega il giovane Carlo Verdone, colto da colite fulminante al cospetto del suo mito Sergio Leone, a Pupi Avati, messo nei guai da Paolo Villaggio e salvato da Ugo Tognazzi all'indomani del suo primo film importante? Perché, se avesse continuato a farsi chiamare Zaga, Lino Banfi non avrebbe mai avuto successo? E perché Renzo Arbore avrebbe dato tutto il suo regno per un clarinetto? La differenza tra una catastrofe e un'impresa perfetta è sempre questione di un dettaglio. Ma di quale dettaglio si tratti lo si può comprendere solo dopo essersi lanciati nell'avventura. Certe storie avventurose aiutano a crescere perché alimentano la nostra immaginazione e diventano preziosi antidoti all'insicurezza e all'angoscia. Quando la televisione propone questo genere di narrazioni ci "risuona" dentro, diventa "necessaria" e suscita in noi sentimenti di gratitudine e fedeltà. Le storie raccolte da Andrea Broglia per i suoi programmi televisivi, attraverso centinaia di ore d'intervista a nomi di spicco dello spettacolo, dello sport e della cultura consentono di mettere a fuoco quella che Gian Paolo Parenti considera la "funzione generativa" della Tv. Ed è appunto di una televisione capace di "curare con le parole" che, secondo Vittorino Andreoli, la società avrebbe bisogno più che mai.