Sei laziale? Ah, quindi sei fascista". Nessun punto interrogativo e nemmeno di sospensione, semmai un esclamativo alla fine di questa frase, che ogni tifoso laziale conosce molto bene. Quasi che l'equazione fra quella fede calcistica e quell'appartenenza politica fosse scontata, specie fuori Roma. Ma com'è nata questa associazione, e quanto c'è di vero nell'etichetta che rappresenta la Lazio come la squadra più fascista d'Italia? Il libro di Stefano Greco lo racconta – e, grazie a decine di foto storiche, lo illustra – dall'interno, perché è una storia di vita vissuta, di chi ha assistito alla nascita dei primi gruppi ultras all'inizio degli anni Settanta, in coincidenza con l'inizio degli Anni di Piombo. Anni in cui scegliere di indossare un certo tipo di giacca o guidare un certo modello di motorino poteva costare caro, in cui curva e piazza erano una la continuazione dell'altra, in cui tifo e politica si mischiavano al punto da risultare indistinguibili, in cui gli stadi erano luoghi di reclutamento per l'eversione rossa e nera e le curve erano frequentate da protagonisti della cronaca, anni in cui nacquero tra le tifoserie legami e odi, gemellaggi e contrapposizioni legati alla politica che tuttora resistono. Faccetta biancoceleste è sicuramente una storia romana e laziale, ma è anche una storia profondamente italiana, perché mai come in quel periodo Roma è stata l'Italia, e viceversa. È una storia di braccia tese sugli spalti e di giocatori che sfidano un'intera curva mostrando il pugno chiuso. È una storia che racconta come eravamo, e che dimostra quanto poco, in fondo, gli stadi siano cambiati rispetto al mondo che li circonda.