Dopo Pascal, Nietzsche e Cioran, anche Gómez Dávila è riuscito a conferire dignità teoretica all'aforisma. Con uno stile pointilliste, secco e pungente, il colombiano ci introduce alla sua filosofia della reazione contro un mondo moderno che non verrà punito, poiché «esso stesso è il castigo». Cattolico ma non dogmatico - persino critico nei confronti di una Chiesa piegata all'umanitarismo che, «pensando di aprire le braccia al mondo moderno, ha finito per aprirgli le gambe» - colto ma non accademico, Gómez Dávila passa in rassegna, per sconfessarle, le principali ideologie della modernità. Democrazia, positivismo, storicismo, determinismo, progressismo: sono per il colombiano panacee consolatorie dai risvolti peggiori dei problemi a cui vogliono porre fine. Con l'ironia e la sottigliezza di una sensibilità umile ma aristocratica al tempo stesso, Gómez Dávila ci offre, in quest'epoca dove tutto è voluminoso ma «niente è monumentale», un'opera che assomiglia a un santuario dedicato all'intelligenza, poiché l'umanità «stima soltanto chi lascia qualcosa di inutile: un'idea, una poesia, un tempio», mentre «la ruggine corrode la gloria degli insigni idraulici di questo secolo». Introduzione di Alessio Mulas.