"Eppure qualcuno mi doveva ascoltare". Agostino Lacerenza è uomo e racconto. Di quante croci si può caricare un innocente prima che egli soccomba sotto l'insostenibile peso della vergogna che ne ha stravolto l'identità? dell'ostracismo che la sua stessa comunità, per imperscrutabili ragioni resasi ingiusta, gli ha decretato rendendolo estraneo alla moglie, ai figli; straniero alla terra alla quale da sempre si è piegato - così suo padre e il padre di suo padre? Eppure, quest'uomo innocente - ma le carte del casellario giudiziale, le inappellabili, di lui dicono: «parricida» prima e «assassino di un ragazzo», poi -; quest'uomo, che ha nome Agostino, è, banalmente, vittima di un colpevole ostinato strabismo di paladini della giustizia. «Eppure qualcuno mi doveva ascoltare»: incipit del romanzo e titolo dello stesso. Sintesi di una pena senza fine. La placherà, Agostino, esiliandosi nella selva dei suicidi. Settanta e più anni: tanti ne sono trascorsi prima che qualcuno - Aurelio Pace (fortemente motivato da ammirevole pietas filiale degli eredi di Agostino) - immaginasse le parole di quella storia che nessuno volle ascoltare. Per trarne un racconto struggente e accorato: di segrete ferite, di sogni e di ricordi, di domande senza risposte, di impietoso scavo nei bui impenetrabili recessi di sé e degli altri. Un racconto da cui emana una «forza patetica di grande spessore, la ragione stessa dello scrivere».