La rete delle interdipendenze nel mondo contemporaneo rende lo state-building internazionale una dimensione eterogenea rispetto alla natura degli attori, alle finalità e alle strategie. Esso stesso si presta come vettore di omologazione alle interconnessioni globali, che traducono la debolezza di uno Stato in una fonte di criticità o di mancate opportunità per gli altri soggetti del sistema. In virtù di tale funzione, lo state-building va assumendo forme sempre più duttili, articolate in un'ampia varietà di formule e soluzioni. In breve: uno smart state-building, incentivato specialmente dall'enfasi sull'internazionalizzazione economica quale chiave per attivare il risanamento di diverse specie di fragilità. Le analisi di questo volume si concentrano sui risvolti di quest'assunto, il quale, coniugandosi con la cifra tecnocratica dei programmi d'intervento, rischia di avviare gli Stati "risanati" verso inattesi squilibri, introducendovi nuovi fattori di vulnerabilità. In quest'ottica quindi si esaminano i criteri normativi alla base dei principali modelli di state-building oggi vigenti, verificando la coerenza tra gli obiettivi perseguiti e gli effetti pratici che possono derivarne. L'ultima parte si sofferma sui rapporti tra state-building e democracy-building, per problematizzare le strategie che assegnano assoluta priorità all'obiettivo di rendere uno Stato capace di svolgere le funzioni che soprattutto le logiche dell'interdipendenza richiedono, ritenute propedeutiche a una democratizzazione altrimenti "prematura". Confrontandosi con tale impostazione, la disamina si concentra sugli elementi empirici per cui la democrazia può invece costituire una risorsa immediatamente utile alla stabilizzazione e al rendimento di un sistema politico. Senza proporre conclusioni dirimenti, queste pagine mirano a sollevare questioni per la diagnosi delle contraddizioni che possono minare la capacità delle agende di state-building di affrontare proficuamente le sfide del presente.