Trasformare un trattato di teoria dell'arte, che riflette sui limiti della rappresentazione, nel racconto di una pratica che si affaccia sugli spazi di dicibilità residui è uno dei due miracoli che questo libro riesce a compiere, facendo davvero «ciò che si poteva» e «non si poteva fare», ossia rendendo assieme leggibili e illeggibili, apatici ed empatici, il percorso e l'esperienza della forma che nasce, o che non può nascere. Far parlare la pratica artistica, traducendola nelle forme di una narrazione situata in un passato quasi generazionale, però, è solo uno dei due volti di questo libro bifronte che guarda contemporaneamente al passato e al presente. L'altro volto - e l'altro miracolo - è rappresentato dal modo in cui Polidori, affermato e raffinato artista concettuale, riesce a impadronirsi della dimensione della serialità per trasformare (sotto i nostri occhi) l'oggetto seriale "libro" in una vera e propria installazione artistica. È così la serie a diventare pezzo unico e questa serie di libri potrebbe allora, un giorno, venire addirittura esposta, pur non avendo nulla di museale, proprio in un museo. Potrebbe persino essere questo, il suo futuro.