Riflettere, comunicare, confrontarsi e agire: il Dizionario della dissoluzione di John Freeman è un invito concreto e luminoso ad abbandonare l’apatia aggressiva della solitudine, il narcisismo prepotente dei social, a spegnere gli schermi e a riappropriarsi del linguaggio.
È nel linguaggio infatti il vero motore del cambiamento, la forza della contestazione agli squilibri del potere.
Abbiamo danneggiato la nostra capacità di immaginare un’alternativa, barattandola con l’odio e l’insoddisfazione. Abbiamo assunto comportamenti sociali dai costi esorbitanti per il nostro ambiente, perdendo il senso di noi stessi, abbiamo soggiaciuto alla forza avvilente della disinformazione facendone un alibi per la nostra solitudine protetta e isolata, alimentata di prepotenza e disprezzo verso tutto ciò che è diverso. Abbiamo assimilato tutto l’odio con cui siamo stati fomentati dal potere, e la possibilità di una politica dell’ottimismo inizia un passo alla volta, una parola alla volta.
Non c’è bisogno di andare a caccia di quei termini che, utilizzati come armi, si sono ormai tra- mutati in paradossi; dobbiamo impadronirci di parole ricche di possibilità e cominciare a riutilizzarle da capo.
Dizionario della dissoluzione è un lessico dell’impegno che parte dal recupero del senso reale delle parole cardine per la nostra evoluzione di cittadini. L’obiettivo è stimolare un’agitazione positiva, un coinvolgimento sano nella lotta all’ingiustizia, nella costruzione di un corpo sociale reale e pulsante, pensante e consistente.
Le parole sono il filo più prezioso che ci lega gli uni agli altri, attraverso la comunicazione che in quanto tale accoglie e non esclude: così generare un pensiero collettivo parte proprio dalle fondamenta, dal restauro del senso più primigenio e autentico di un lessico che sia capace di ergersi a strumento di azione per la ricostruzione di una vera scala di valori.
Dalla A alla Z, John Freeman mette in fila 26 parole chiave per un costrutto sociale che crei legami e valori. Da Agire a Giustizia, da Amore a Rabbia, da Polizia a Voto, da Norme a Tu.
Lungi dall’essere astratto e speculativo, John Freeman ha i piedi ben piantati per terra nella realtà: siamo corpo, non nickname, siamo persone che vivono in un contenitore che può essere di gioia o di sofferenza, centro di amore o vittima di abusi e di repressioni. Siamo bisogni e il nostro compito è riprogrammare la cultura affinché questi bisogni siano soddisfatti, al di là della nostra provenienza.
“Possiamo portare il corpo là fuori e agitarci insieme agli altri. Perché niente più di un corpo sa suonare come una campana”.
Siamo animali ma dotati di una coscienza sofisticata che ci deve guidare alla differenza cosciente tra giusto e ingiusto. Il Noi è principalmente interazione, intimità, volontà di coinvolgere il prossimo, non solo mostrando, ma dando. Dare è per John Freeman uno dei modi più rapidi per attivare lo spirito. Stiamo vivendo in un abbaglio di libertà digitale e di vita consumistica che conducono solo al distacco. L’inclusione è la matrice dell’arricchimento, della ricchezza sociale che genera speranza e non disprezzo. Essere cittadini pertanto non è questione di confini ma di identità, di un comune sentire, e un comune agire: è questa l’essenza della salute emotiva di una società.
“Rivolgiamoci gli uni agli altri dando per scontata la dignità, così da renderlo la prassi. Riconosciamo al prossimo il diritto a essere felice, così da renderlo la prassi”.
Senza linguaggio siamo solo impulsi, siamo preda delle nostre paure. Le parole creano contatto ed è lì la cellula prima del cambiamento, che nasce quando facciamo attenzione a come parliamo, ascoltiamo, a come ci relazioniamo con gli altri. Vivere all’insegna della cura è un atto di amore: anche il gesto più insignificante conta perché la vita per Freeman è questo, un uragano di piccoli gesti.
Possiamo essere migliori di così: attraverso 26 parole e 26 meditazioni ad esse correlate, John Freeman delinea una mappa, convinta e appassionante, di un mondo più equo, etico e sostenibile.
“L’unica via d’uscita sei tu. Solo tu puoi fare qualcosa”.
Recensione di Francesca Cingoli