"La Difesa della Poesia", scritta da Shelley nel 1821, un anno prima della prematura scomparsa, rappresenta il suo testamento spirituale. Il poeta vi confuta la tesi dello scrittore Thomas Love Peacock, che aveva profetizzato il declino dell'arte sotto l'incalzare della scienza, sostenendo la superiorità della poesia, vista come qualcosa di divino, su tutte le altre forme di conoscenza. Sviluppando il saggio alla maniera di Bacone, egli porta gradualmente sotto gli occhi del lettore i vari aspetti del tema affrontato. Accanto alle valutazioni delle varie epoche storiche in cui la poesia ha trovato forma, troviamo intuizioni sulla natura del linguaggio, esplorazioni degli effetti sociali dell'esercizio poetico e, soprattutto, un intensa profusione d'immagini liriche. La mancanza della poesia nella vita umana crea un vuoto incolmabile; per questo Shelley ne reclama l'esistenza nei secoli deplorando il divario fra l'etica mercantile ottocentesca e l'esercizio disinteressato dell'immaginazione, che per lui è l'"organo" della natura morale dell'uomo.