Il libro si prefigge di dilucidare talune procedure nell'arte della prosa del primo Galileo e del suo allievo Benedetto Castelli. Si tratta della peculiare retorica - tra parole scritte e parole taciute - disvelata dal Sidereus Nuncius: opera nella quale lo scienziato toscano comunicava al mondo dei dotti e delle corti europee gli esiti delle sue meravigliose scoperte celesti e tuttavia, con apparente stranezza, ometteva di segnalare la collaborazione che, alle osservazioni operate con il nuovo strumento del cannocchiale, aveva prestato un sodale veneziano, il servita Paolo Sarpi. D'altra parte, nella sua Dissertatio cum Nuncio Sidereo, lo stesso Keplero, con modi sapienti, mostrava di rammentare a Galileo i nomi e il contributo di alcuni filosofi naturali, i quali si erano imposti come geniali predecessori di alcune riflessioni cosmologiche pure rinvenibili nella prosa del Sidereus Nuncius. Questo libro tratta altresì della difficile redazione delle Lettere Solari - poi confluite in una Istoria delle macchie solari e loro accidenti - in cui Galileo, con rilevata abilità retorica, polemizzava all'indirizzo di uno scienziato tedesco, Christoph Scheiner, il quale si nascondeva vantaggiosamente dietro la maschera di Apelle, celebre artista dell'Antichità. Vero è che la lezione dell'ars rhetorica di Galileo è da riconoscersi pure nella prosa del suo primo allievo, don Benedetto Castelli, in equilibrio tra acuminate risorse umoristiche e malinconica saggezza di derivazione stoica: a segno che due destini umani, quello di Galileo e quello di don Benedetto, sembrano incrociarsi, tra occasioni favorevoli e occasioni avverse.