"... L'amore di cui parla Pellegrino non è un astratto sentimentalismo. Esso rappresenta la chiusura ontologica del discorso sul tutto. Il legame che unisce gli essenti, che essi credano di volerlo o meno, è l'amore. La necessità dell'accadimento delle cose implica, però, che questo amore sia anche tragico, perché alla sua essenza è legato il manifestarsi del dolore. Nel caos esistenziale del nostro tempo avvertiamo dentro di noi una sensazione di infinita impotenza di fronte alla tragicità degli avvenimenti. Ci consideriamo esseri finiti privi di un valore reale nel mondo. Ma ognuno di noi, nel proprio profondo, è l'unica verità eterna dell'infinito, nei modi finiti e temporali in cui essa è se stessa. Ogni avvenimento è movimento del tutto, la scintilla divina avvolge ogni singolo apparire. E tuttavia il tutto non è il "grande inquisitore" che punisce o premia a seconda dei comportamenti terreni. La vera divinità consiste nella coscienza di ognuno di noi - noi, destinati all'ultimo tratto del cammino dell'infinito, giacché (come dice l'autore) "osserviamo dall'alto, senza vertigini, l'intero percorso che ci ha portato fino a quel punto". Il massimo dolore è un passo verso il "prevalere" dell'amore come legame infinito. Un prevalere definitivo che, nel discorso dell'autore, non si struttura come speranza, bensì come incontraddittoria necessità". (Andrea Berardinelli)