L'epigrafe contenente l'epitaffio di Jacopo del Cassero, conservata nella chiesa di san Domenico a Fano, è stata finora sottovalutata nella sua portata letteraria e come elemento significativo nell'architettura della Commedia. Come si sa, Dante immagina di aver incontrato messer Jacopo sulle pendici del monte del Purgatorio. L'elemento interessante è che il poeta mette in bocca a Jacopo una frase che ricalca alcuni versi del suo epitaffio e l'esclamazione fa riferimento al ruolo della fortuna nell'episodio che lo portò alla morte. Questo libro cerca di far rivivere quelle antiche vicende e quella lontana realtà, cerca di portare alla luce i motivi di questa operazione intertestuale dantesca. La tesi che si propone è che Dante, conoscendo il nome antico di Fano, Fanum Fortunae, abbia ripreso i versi della lapide per caratterizzare il personaggio di Jacopo come rappresentante non solo di una città ma anche di una categoria sociale, quella degli ufficiali, dei militari in genere, presso cui il culto della fortuna doveva essere sopravvissuto in forme più o meno scoperte. Il volume si conclude con un attento esame stilistico e poetico dei sedici versi dell'epigrafe di Fano.