Il caos tragico generato dall'armistizio dell'8 settembre 1943 coinvolse anche l'ILVA di Piombino. Gli occupanti tedeschi iniziarono la procedura di smantellamento degli impianti produttivi e il loro trasferimento verso nord. Gli operai coinvolti erano consapevoli del valore dei mezzi di produzione dai quali dipendeva il loro futuro lavoro, così molti si rifiutavano di collaborare e preferivano abbandonare la fabbrica. Al passaggio del fronte, la società decise di procedere al licenziamento collettivo. Dopo la liberazione della città, iniziò subito l'opera di pulizia e bonifica dello stabilimento per consentire la ripresa delle attività. Gli operai accorsero volontariamente e accettarono il sistema del cottimo collettivo per accelerare la messa in marcia degli impianti. Ferveva intanto l'attività di rinnovamento dei rapporti industriali. Il primo organismo rappresentativo che iniziò a funzionare fu la Camera del lavoro alla quale furono demandate le questioni più complesse, come quella del criterio di riassunzione dei lavoratori. Seguirono le commissioni interne, i comitati di gestione, quindi i sindacati. Anche la politica avviò la nuova stagione repubblicana con le elezioni comunali del 1946 e l'insediamento del sindaco Villani democraticamente eletto. Iniziava così quel "mondo nuovo" che apriva la grande stagione della siderurgia piombinese del dopoguerra.