“Prima la situazione era questa: io, papà e i soldatini suddivisi in due eserciti, quello inglese e quello tedesco, quest'ultimo di parecchio inferiore come numero di uomini. Ma tutto cambia una mattina di primavera, quando la donna esce dalla camera da letto di mio padre e si infila in cucina”.
La realtà riletta e interpretata dallo sguardo di un bambino di 7 anni è fatta di giochi semplici, di un quartiere, a Reykjavik, dove le strade conoscono le parole, anche quelle di Natale, e dove le botteghe sono posti amici, dove passare del tempo, sentire storie, divorare girelle e viennesi calde. I soldatini sono personaggi che condividono preoccupazioni e battaglie, la Trabant col tetto rosso è il padre che torna a casa e la mamma è un abito nero, e due parole che insieme sono tristi, veglia funebre.
Quando rivede la sua casa da quarantenne, forzando un ingresso che non è più il suo, non trova più la moquette che attutiva i suoi passi da bambino, e tutto è cambiato. Ma i ricordi restano e sono sempre potenti, richiamano l’amicizia con Pétur e le sue mani gelate, la giovane matrigna e la sua colazione con l’avena, i biscotti rubati quando lei non guarda, il battito del cuore quando lei spolverando tocca la foto della mamma.
“Faccio progressi in aritmetica, mi prendo un sacco di stelle sul registro, ma per quanti conti faccia, per quanti esercizi complicati riesca a risolvere, per quanto mi studi e ristudi le tabelline, dai miei e calcoli la mamma non salta mai fuori”.
È un racconto struggente della memoria,
Crepitio di stelle, che attraversa gli anni e intreccia le storie, del protagonista bambino, dei suoi bisnonni, del loro matrimonio minato dall’alcol, del trasferimento in una fattoria vicino a Arnarstapi, di un marinaio dai capelli rossi e il nome breve come un sospiro. Insieme alla loro, c’è la storia dei suoi genitori, un muratore ragazzo dell’est che si innamora di una voce e di due occhi. Sono storie che si inseguono, rimbalzano una dentro l’altra, riecheggiano di voci e di paesaggi islandesi bellissimi.
“Sei vite, centocinquant'anni e un marinaio dai capelli rossi; avrei avuto bisogno della lingua intera, per raccontare di loro come si deve. E presto non ci sarà niente a ricordare, se non una conchiglia di strombo e un sasso che sembra un esserino”.
Siamo la nostra memoria, destini che si intrecciano: il libro di
Jón Kalman Stefánsson è un romanzo corale che racconta più generazioni attraverso le storie delle piccole cose, portando magia nella vita normale e poesia nel ricordo. Il risultato è un omaggio pieno di melodia all’appartenenza, al debito di vite e di storie nelle quali ritrovare pezzi di noi, tasselli di un quadro che ha l’odore di casa, tutti con lo stesso bisogno di trovare la propria strada attraverso amori e rimpianti, abiti strappati e musica sotto i ghiacciai.
“La notte non è sempre la stessa. A volte soffia piano in una cornamusa piena di stelle e trasforma il regno delle tenebre e della paura in una ninna nanna malinconica, a volte è luminosa come il giorno, e gli spettri che si azzardano a uscire dalla terra svaniscono con un piccolo schiocco”.
Recensione di F. Cingoli