Una storia di orgoglio e sconfitta. E della contraddizione insanabile tra lavoro e salute, tra economia ed ecologia di un territorio. Le Marche centro-settentrionali sono state a lungo uno dei principali poli italiani per l'estrazione dello zolfo. Il minatore, nonostante il suo duro lavoro, si considera un "signore" rispetto al mezzadro. Quando esce dalla miniera, in un paesaggio devastato dai fumi tossici, può attardarsi al Circolo, godere della radio e dello spaccio aziendale. È il tanto agognato "benessere" che però, da un giorno all'altro, nei primi anni Cinquanta, svanisce: il mercato dello zolfo è in crisi soppiantato dalla nascente industria chimica, fioccano a centinaia le lettere di licenziamento. L'economia di tutto il bacino di Sassoferrato, Pergola, Arcevia è messa in ginocchio. L'ultima protesta è la disperata occupazione della miniera: quaranta giorni passati da duecento minatori a cinquecento metri sottoterra. Ma ormai il mondo sta andando da un'altra parte e ai minatori resta solo la scelta tra la miseria e l'emigrazione. Oggi nell'area delle miniere marchigiane la vegetazione ha ricoperto quasi tutto, come a voler cancellare un'antica ferita.