Il bersaglio diretto di questo saggio febbrile è Carlo Emilio Gadda, dietro la cui sagoma si nasconde il suo massimo chiosatore, Gianfranco Contini: a quest'ultimo si deve una lettura della produzione letteraria italiana sulla base delle punte espressive, delle temperature alte dell'eversione linguistica. Tutto questo, va detto, a danno di quanti, nel nostro Novecento, hanno fatto ricorso a una pronuncia cristallina, acquatica, ma non per questo lontana da ansie stilistiche, da sfiancanti formalizzazioni. Nella pars destruens, sono allineate le voci di quanti hanno detto la loro contro l'ingegnere scrittore calpestando il magistero continiano: ne viene fuori, per la prima volta, una sorta di breve storia della sfortuna critica di Gadda. La pars costruens è invece dedicata alle ragioni del monolinguismo, aprendo le porte del Novecento a fuoriusciti come Comisso, Soldati, Cassola, Chiara, Flaiano, e innalzando un canone iniquo ed eversivo sulle basi di una scrittura che non ostenta sforzi, ma che nasconde una grande elaborazione votata alla trasparenza.