Le Considerazioni intorno alla poesia degli ebrei e dei greci di Biagio Garofalo vengono pubblicate a Roma nel 1707, e tra il 1716 e 1718 messe all'Indice con l'accusa di aver trattato la Bibbia alla stregua di un libro profano. L'opera, nonostante l'imprimatur di Giusto Fontanini, conteneva numerosi tratti di pericolosità, mettendosi sulla scia del Tractatus spinoziano e sul modello degli scritti di Domenico Bencini, Vincenzo Santini, Francesco Bianchini e Celestino Galiani. Corrispondente di Giambattista Vico, per il quale ricopriva anche il ruolo di mediatore per arrivare al principe Eugenio di Savoia, e amico di Matteo Egizio, Garofalo viene di fatto considerato l'erede più fedele della lezione radicale dell'Istoria civile giannoniana, sollevando nel suo testo questioni e tematiche che mettono in luce una lettura attenta e competente del Tractatus teologico-politicus spinoziano e uno studio semantico della lingua ebraica. Conoscitore di latino, greco e lingue orientali, Garofalo denuncia nelle sue opere un vistoso eclettismo e una vivace partecipazione al dibattito culturale europeo grazie alla posizione di rilievo da lui raggiunta sia presso la corte romana che presso quella viennese, e si propone come figura emblematica di intellettuale moderno, in bilico tra erudizione e ambizioni politiche.