In Italia le decisioni in merito alla costruzione di grandi infrastrutture alimentano i più duri e aspri conflitti tra governo centrale e rappresentanti della società civile. Si pensi al ponte sullo Stretto di Messina, all'alta velocità in Val di Susa, alla paventata possibilità di erigere nuove centrali nucleari. La strada istituzionale attraverso cui si è deciso di perseguire una decisione d'infrastrutturazione mostra la debolezza, o meglio l'indeterminatezza, della governance italica. Ogni volta che i livelli di governo sono chiamati a interagire, a cooperare con i cittadini per la realizzazione di grandi interventi sul territorio tendono ad emergere incertezze più o meno gravi. Chi decide tali opere? All'interno di quale modello di sviluppo assumono la necessaria legittimazione? L'approfondimento di alcune esperienze maturate al di fuori dei confini nazionali contribuisce a delineare i termini della questione italiana e offre l'opportunità di ripensare il dilemma tra partecipazione e decisionismo. La tesi sostenuta nel volume è che occorre valorizzare l'idea per cui anche l'opera più urgente e strategica non può rinunciare a un percorso decisionale improntato all'apertura e all'ascolto reciproco.