Gli algoritmi che lavorano con il deep learning e i big data stanno diventando così bravi a fare così tante cose da metterci a disagio. Come può un dispositivo sapere quali sono le nostre canzoni preferite o che cosa dovremmo scrivere in un'email? Le macchine sono diventate troppo intelligenti? Secondo Elena Esposito il punto è un altro: questo tipo di analogia tra algoritmi e intelligenza umana è infatti fuorviante. Se le macchine contribuiranno all'intelligenza sociale, non sarà perché hanno imparato a pensare come noi, ma perché noi abbiamo imparato a comunicare con loro. Da qui dunque la proposta di pensare alle tecnologie digitali e alle macchine «intelligenti» non in termini di intelligenza artificiale ma di comunicazione artificiale. Per far questo abbiamo bisogno di un concetto di comunicazione che tenga conto della possibilità che il nostro «partner di comunicazione» non sia un essere umano ma un algoritmo non casuale ma completamente controllato, anche se non dai processi della mente umana. Indagare su questo aspetto significa esaminare l'uso degli algoritmi in diversi ambiti della vita sociale: dalla proliferazione di liste (e liste di liste) online all'uso della visualizzazione; dalla profilazione digitale e individualizzazione algoritmica, che attraverso playlist e raccomandazioni fanno del web un mezzo di comunicazione che non è più di massa, alle implicazioni del «diritto all'oblio»; per approdare infine alle fotografie, utilizzate oggi più per sfuggire al presente che per conservare una memoria per il futuro.