Questo libro non si limita ad indagare minuziosamente gli aspetti della produzione materiale nel corso del secolo passato, ma affronta compiutamente anche le profonde implicazioni sociali e culturali che il coltello ha assunto e per lungo tempo ha mantenuto in Italia. Alla versatilità insita nelle potenzialità formali e materiche dell'oggetto, nel nostro Paese si è unita un'ulteriore valenza: il coltello è stato il segno crudelmente e ferocemente esibito di una radicata e diffusa violenza, l'emblema di una frammentata ma pullulante aggressività. "Spada del popolo" è stato romanticamente definito il coltello. Durante buona parte del secolo scorso nelle regioni centro-meridionali del Paese, non c'è uomo del popolo che nel proprio coltello accuratamente scelto, soppesato e provato al momento dell'acquisto, non veda il segno tangibile della propria umana e virile consistenza, della dignità e dell'orgoglio personali. Le leggi restrittive sulla fabbricazione, sulla detenzione e sul porto dei coltelli, indotte dal crescente aumento dei reati di sangue, hanno determinato la scomparsa di molte comunità artigiane, da secoli dedite alla lavorazione dei ferri taglienti. La situazione oggi è profondamente cambiata. Superata la fase del rifiuto del cattivo passato, si sta provvedendo alacremente a riallacciare i fili lacerati delle antiche tradizioni artigiane.