L'infanzia di Vera non è stata facile. Dopo la morte del padre, la madre, donna elegante e anaffettiva, assegna al figlio maggiore Filippo il ruolo di capofamiglia e si rifugia nella sua attività di insegnante di pianoforte rinunciando a occuparsi della figlia. Vera cresce ferita e introversa, e solo grazie al fratello può scegliere di specializzarsi in grafica a Parigi, lasciando Genova e l'atmosfera opprimente della famiglia. Quando ritorna, grazie a un nuovo lavoro, una nuova casa e la relazione stabile con un neurologo eccentrico e perfezionista, la sua vita acquista finalmente dei punti fermi e un certo ordine. Finché qualcosa cambia e, come in una reazione a catena, tutto crolla. E quando è il fratello a lasciare la città, comincia la paura. Una paura multiforme: paura delle malattie, dei contagi, della morte, della violenza. Una paura che assume simbolicamente l'aspetto dei cinghiali che dalle colline scendono in città. Finché di nuovo accade qualcosa: il fratello le chiede di ospitare un bambino, un suo alunno della scuola in Kenya che è andato a dirigere. La convivenza con Abel sarà difficile ma la porterà a confrontarsi con le ragioni profonde delle paure che le impediscono di vivere. E forse a risolverle.