Quanto il destarsi trova coincidenti la coscienza e la sofferenza. Precipitato in sembianze accidentali, dimentiche di artefici silenti ad ogni grido, di artefici il cui diafano ricordo pare sol surrogato di speranza: un pensiero che avulso arranca fra le rovine che intorno a sé colmano un orizzonte arso, fra le rovine entro sé ove l'orizzonte sa esser abisso ben più oscuro. Macerie quali tombe non volute, in una sequela senza fine a comporre un unico sepolcro in cui solo una cieca mancanza di senso convulsa si dibatte: riducendo alla medesima polvere solitudini perse fra innumerevoli altre, imperi retti da vessazioni e volti esclusivamente ad ulteriori schiavitù. Assenza di senso riflessa nel sudario di cenere in cui è tumulato ogni dove, echeggiante nelle tempeste al ruggire la propria disperazione. Ma notte tanto oscura da esser lambita dal più flebile lume, capace di trovar sorgente in una scintilla precipitata da altezze ed epoche obliate; una fiamma alimentata dallo strenuo rifiuto di esser divorati da quel nulla insaziabile; un fulgore minacciato dalla tenebra troneggiante di quella mancanza di senso, capace di far suoi artigli la schiera berciante di interessi rapaci che solo sé stessi eleggono a fine degno. Una luce colta qual riverbero di sommità oltre quelle d'ogni scintilla donata, che può rischiarare oscurità ben più abissali di sterminati orizzonti di cenere.