Il gioco degli scacchi conquista nuovi territori non solo per le sue qualità intrinseche, ma anche perché funzionale all'ideologia dei gruppi dominanti o emergenti. Dal XVI al XVIII secolo, la sua diffusione e legittimazione in aree periferiche come la Calabria è incoraggiata e gestita dalle grandi dinastie europee, in primo luogo da quella spagnola. Gli scacchi, metafora della società d'ancien regime, affermano le gerarchie esistenti, celebrano il potere assoluto del sovrano e l'arte della guerra, da sempre privilegio dei nobili. Gli scacchisti calabresi sono ritenuti tra i giocatori più temibili e sulle loro straordinarie imprese si raccontano aneddoti che li presentano come cavalieri erranti. Contesi e viziati dagli aristocratici, sono ricoperti di onori e ricchezze, ma la loro vita è difficile e avventurosa, la loro fortuna effimera e altalenante. Per primeggiare tra centinaia di bravi giocatori bisogna tenersi sempre in allenamento e avere nervi saldi poiché basta una sola sconfitta perché la gloria tramonti. Alla fine sono uomini sviliti e infelici, degni di compassione poiché vivono una vita raminga, subiscono aggressioni e spesso muoiono soli e in miseria.