È difficile non sentire, leggendo Althusser, la tensione militante di chi con immenso coraggio ha opposto a ogni nuovo attacco la necessità del lavoro politico per la rivoluzione, la necessità di fare blocco su un programma strategico e di fase che avesse la trasformazione (della politica, della cultura, della teoria) come suo snodo centrale. Come non avvertire la rispondenza profonda, il respiro comune con le lotte che coinvolgevano in tutto il mondo i più diversi strati sociali, in quello straordinario ciclo di protagonismo sociale che va dal 1965 alla seconda metà degli anni Settanta, passando per il '68? Come non vedere che nei suoi scritti sono già identificati con precisione il terreno di scontro e gli obiettivi che la parte avversa perseguiva pervicacemente, e che ha continuato a perseguire negli ultimi quarant'anni: la cancellazione dell'idea stessa di conflitto e di mutamento sociale? La sua teoria è l'esposizione di un vero e proprio metodo di lavoro politico nel concetto: facendo la ricognizione delle forze avversarie, penetrando nel loro campo e decostruendone il potere, una pratica teorica che lavora per l'emancipazione realizza nozioni che producono vie di fuga dal dominio.