Una domenica di settembre, un campo di grano dorato, un bambino che rincorre un aquilone. In questo scenario idilliaco e rassicurante, nelle campagne alla periferia di un paesello in provincia di Napoli, viene ritrovato il corpo senza vita della diciottenne Diletta Ivak, studentessa. Nuda, con la pelle intatta e bianchissima, come se qualcuno avesse voluto preservarne la bellezza oltre la morte, sembra quasi che si sia addormentata tra le spighe. Solo un sottile laccio intorno alla gola e un rivolo di sangue che viene giù dalle labbra, sotto il fazzoletto con cui è stato pietosamente coperto il suo viso, suggeriscono che è stata uccisa. Non ci vorrà molto per conoscere il suo assassino, lo ritroveremo poche pagine dopo seduto di fronte al giudice in un interrogatorio che ci accompagnerà per tutto il romanzo. Lasceremo quella stanza del tribunale molto spesso per vedere cosa succede fuori, entreremo nelle case di chi resta per scoprirne le reazioni, i rimorsi, i dubbi. Osserveremo come la stampa e i media si appropriano del caso, fagocitandolo, per poi restarne spiazzati, sconvolti. Perché, scopriremo pagina dopo pagina, il caso Ivak è molto di più quello che sembra: è un delitto che ci svela le peggiori turpitudini umane, che ci mostra gli abissi in cui si cade valicando una certa linea. Quella tra il mondo del giorno e il mondo della notte, tra la luce e il buio, nel segreto delle vite che vittima e assassino conducevano parallelamente a quelle da tutti conosciute, all'insaputa dei loro cari. Perché più importante del chi, in certi crimini, è il perché.