“Mi tengo dritta, è una mia peculiarità. Non mi sono mai piegata, neanche nei periodi di maggior dolore. Spesso mi chiedono se abbia fatto danza classica. Rispondo di no, che è stata la quotidianità a darmi una disciplina, a farmi allenare ogni giorno alla sbarra e sulle punte”.
Violette Trenet ne ha passate tante, è più volte caduta ma si è sempre rialzata, ha attraversato abbandoni, tradimenti, le perdite più dolorose, ma la sua giornata adesso profuma di gelsomino e di miele, le sue stanze sono bomboniere pastello che sanno di fresco. Violette sorride, nella sua solitudine piena di faccende, tra le piante odorose del suo giardino, “settecento metri quadrati di gioia, amore, sudore, coraggio, volontà e pazienza” e la sua casa, la cui porta è sempre aperta. Fa la guardiana del cimitero, Violette, e il suo paradiso è fatto di tante cose, piccole e immense, che lei assapora ogni giorno come doni del cielo.
In un cimitero lei ha trovato il segreto della sua felicità.
È una donna bella e riservata, la protagonista del romanzo di Valérie Perrin: chi visita il cimitero, e accompagna i propri morti, entra nella sua casa in cerca di conforto, e trova occhi buoni ad accogliere, caffè e parole, che escono spontanee da un cuore grande e sincero. Violette va oltre i suoi doveri, e si prende cura delle tombe con dedizione, conosce le storie di tutti, come se fossero suoi cari, e tiene un registro, dove trascrive i particolari di ogni funerale, la pioggia e il sole, i palloncini e le lacrime, i discorsi e i fiori, gli epitaffi, alcuni potentissimi.
“Se la vita è solo un passaggio, almeno su questo passaggio seminiamo fiori”.
Violette parla coi morti, coi gatti, coi fratelli Lucchini delle pompe funebri, con i tre bislacchi necrofori, Nono, Gaston e Elvis, con padre Cedric, interrogandolo sull’amore; ma soprattutto parla a stessa.
La sua solitudine è un dialogo ininterrotto tra la morte che la circonda e la vita che la anima, nella consapevolezza serena e positiva, che una non esiste senza l’altra. E come la luce non ha senso senza l’ombra, in questa storia di chiaroscuri, Violette ha due armadi, che nulla hanno a che vedere con le stagioni: l’armadio inverno ha vestiti scuri e austeri, destinati agli altri, l’armadio estate ha abiti chiari e colorati, destinati solo a sé: indossa l’estate sotto l’inverno, la guardiana del cimitero, e quando è sola, si toglie di dosso l’inverno e svela i suoi colori.
Una mattina alla sua porta arriva Julien, un commissario di Marsiglia, che odora di cannella e tabacco e vaniglia, e per Violette è come ritrovare una persona persa da tanto tempo. Julien ha una richiesta strana, che anche lui non capisce: la madre, nelle sue ultime volontà, ha chiesto che le sue ceneri fossero poste sulla tomba di un uomo che lui non conosce.
Sarà il racconto di una storia d’amore che ha superato la vita e abbracciato l’eternità a svelare la potenza di legami indissolubili, che si rincorrono tra passato e presente.
“Appena ha aperto bocca ho sentito la solitudine staccarsi da me come una pelle morta. La sua voce mi ha fatto l'effetto di una schiarita, come se mi avesse acceso un lampione sopra la testa, come quando una giornata si presenta uggiosa, poi il cielo plumbeo si dischiude e il sole penetra non si sa da dove per illuminare certi punti del paesaggio”.
Vincitore nel 2018 del Prix Maison de La Presse, Cambiare l’acqua ai fiori è un romanzo bizzarro e commovente, che non ha nulla di macabro, dove i soli fantasmi sono i ricordi che ritornano: un romanzo sull’amore, più forte di tutto, che riecheggia in ogni pagina di vita, di poesia, di musica e di colore, degli aromi delle verdure fresche e del profumo di rosa.
“Dammi notizie ogni tanto. Ma non troppo spesso, sennò le aspetterò”.
Recensione di Francesca Cingoli