uesta pregevole opera di Pietro Pinacci è un piccolo scrigno che custodisce, come il mare nei fondali, una dimensione che riaffiora in superficie o in cui ci si imbatte più a riva, dove la terra c'è più prossima. L'idea di una dimensione carsica dell'esistente, si presta a molte simbologie, ma in una dimensione più reale essa è nelle cose come una verità costitutiva, come le rocce che formato lo strapiombo a balzo nel vuoto. Già S. Agostino, con riguardo all'umano e alla verità, aveva chiosato dicendoci come tutto è interconnesso e inanellato, proprio come le perle unite dal filo di una collana: è perché è nascosto che non si trova, è perché non si trova che va ricercato. E la ricerca di una dimensione altra, contingente o più elevate da noi, ci esorta a una direzione celeste, verso Dio, salvo poi scoprire che quella paternità è già nella nostra filiale appartenenza con l'IO, mai orfana dell'alterità che è già declinata plurale e corale nell'animo nostro. (Dalla predazione di Mattia Leombruno, Presidente della Fondazione Mario Luzi - marioluzi.it)