Che la parola sia corretta o sgrammaticata, sublime o storpiata e meticciata con innesti d'altri gerghi o dialetti o parlate antiche o nuove, sempre mi incuriosisce, mi provoca a perlustrarla, sezionarla e ricomporla. Dal grido scomposto e liberatorio, entusiasta ed entusiasmante del grammelot del giullare al mormorio iterato senza senso apparente ma con intonazione del cantastorie - «Bramarama, szerymery» - della futura scrittrice, alla canzonatura del latino maccheronico alle più alte e sofisticate forme poetiche, sono un'adoratrice della parola. (Marina Giovannelli)