La storia dell'alpinismo e dell'arrampicata è storia di culture tribali. È la storia di comunità di persone che hanno scoperto un terreno di gioco e ne hanno via via esplorate le possibilità; le hanno, certo, sviluppate negli anni grazie alla reciproca comunicazione regionale e internazionale, ma rielaborandole pur sempre sulla base del momento e dell'ambiente reale, trasmettendone i risultati solo ai membri del gruppo che in quel momento formavano. Per capire l'arrampicata, questo concetto di filiazione e trasmissione culturale è fondamentale: perché aver ricevuto iniziazione, impostazione, visione da uno piuttosto che da un altro, può variare anche di molto il proprio modo di concepire, esprimere, vivere questa disciplina. Negli anni, diversi arrampicatori romani hanno intrapreso la via della scrittura, pubblicando storie, autobiografie e memorie. Mancava però un'opera che riunisse le vicende raccontate a quelle non raccontate e si facesse carico di dipingere l'evoluzione dell'arrampicata su roccia con le sue linee di sviluppo, le sue traiettorie geografiche e relazionali, le sue reti culturali. Un'opera che non avesse la pretesa di essere esaustiva nei dettagli, bensì orientativa, quasi un manuale, il cui scopo fosse fornire il quadro d'insieme. Il lavoro finale è simile a una raccolta di appunti elaborati dallo studente che segue un lungo corso universitario, pazientemente sistemati, amalgamati, integrati. Appunti intrecciati a formare un mosaico dall'iconografia più lineare possibile, certo perfettibile, ma comunque rappresentativa della lunga marcia che cento anni di arrampicata su roccia hanno lasciato a Roma. Il principio adottato nella ricostruzione degli eventi è quello della priorità d'azione: chi abbia compiuto qualcosa che poi sia andato a influenzare altri arrampicatori, contribuendo ad alimentare l'eterna catena di ispirazione che porta avanti fino a oggi una lunga serie di aperture senza fine.