Altrove è la storia di una storia, la narrazione del processo stesso di una narrazione, un racconto che insegue e riflette su se stesso, dalla propria genesi sino alla parola fine, parola dopo parola, pensiero dopo pensiero, attimo dopo attimo. Suo perno centrale è Matijas, personaggio fittizio creato dall'inquieto narratore come un ubbidiente burattino, così da poterlo muovere per le strade di quel mondo immaginario che egli si vede nascere e sviluppare in tempo reale davanti agli occhi. Un burattino, però, di cui perde ben presto il controllo, così che la storia finisce per scivolare sempre più nel caos e nell'anarchia retta dai suoi stessi personaggi, al di là di ogni possibilità di interpretazione o dell'affibbiazione di un significato definitivo. Importanti analogie sembrano però legare indissolubilmente - spesso quasi a sovrapporre - il narratore al suo recalcitrante personaggio. Da una parte, un eguale sentimento di oppressione e un desiderio di fuga da una realtà giudicata insufficiente e insoddisfacente. Dall'altra, una cieca obbedienza ad uno stimolo naturale che spinge entrambi verso una dimensione altra, ideale, un altrove a cui entrambi sentono di appartenere senza avervi mai messo piede e della cui esistenza non sono nemmeno certi. Lo stesso altrove che sembra a più riprese fare intromissione nel mondo narrato, in un gioco di continui slittamenti e sovrapposizioni tra dimensioni diverse; quell'altrove che il romanzo stesso, grande calderone che accoglie e rimescola ogni realtà possibile ed impossibile, si rivela infine essere.