Negli anni recenti la scena performativa ha mostrato un'attrazione specifica per la tecnica ventriloqua, spesso rifiutando l'uso di pupazzi e marionette parlanti. L'arte di emettere parole senza movimenti apprezzabili di muscoli facciali è impiegata in teatro come dispositivo per interrogare in modo radicale l'evento corporeo del linguaggio, le funzioni della presa di parola, la postura (politica) del parlante evidenziando forme di controllo e soggezione. Con i suoi effetti di dissociazione e diffrazione, la voce ventriloqua attraversa il corpo e marca la scrittura scenica per porne "problemi" di funzionamento. Piersandra Di Matteo, attraverso l'analisi di casi prelevati dal panorama internazionale, traccia un percorso in cui la voce si riconfigura come lo strumento per sondare i margini del performabile.