A criticare la costruzione europea, dall'euro alla BCE, dal fiscal compact all'unione bancaria, sono spesso gli stessi che hanno firmato gli accordi a Bruxelles e li hanno poi ratificati nei rispettivi paesi. Fare dell'Europa il capro espiatorio di tutti i mali è però una strategia autolesionista che non solo alimenta i vari populismi, ma espone le forze politiche e i governi che l'adottano all'accusa di essere incapaci di battere i pugni sul tavolo a Bruxelles, di sapere cosa andava fatto e di non averlo fatto. Sembra infatti più coerente, e quindi più efficace, la posizione di chi rimette in discussione l'intera costruzione europea rispetto alle tesi, né carne né pesce, di chi si dichiara "a favore dell'Europa, ma non di questa Europa". La crisi dell'Europa è in realtà la crisi degli stati nazionali che in un sistema sempre più integrato non riescono più ad agire individualmente in maniera efficace e nel contempo sono riluttanti a trasferire poteri a livelli di governo sovranazionali. In questo quadro il volume smonta alla luce dei fatti alcune "false verità" sull'Europa, senza necessariamente assolverla dalle sue responsabilità, ma senza nemmeno tacere quelle degli stati che ne fanno parte, che sono di gran lunga maggiori.