Come in un pas de deux, il sipario si alza sulle alterne voci di Micol e Andrzej, a raccontarci dalle rispettive angolazioni prospettiche le vicende di un legame amoroso pervicace e dilagante senza indulgere mai al sentimentalismo.
Con eleganza danzante la parola intreccia i fili della memoria, dipana il racconto, riverbero lucente di un sensibilissimo sguardo sul mondo che risuona nel teatro dell’anima.
Andrzej, il raffinato pianista che fende la cortina raziocinante della più anziana Micol, è un novello Parsifal: valgono per lui, come per il ‘puro folle’, gli eterni temi delle ferite da sanare, dei conti col passato, della ricerca della propria identità.
Nelle trame di un contrappunto a due parti si apre uno spazio interiore dove lo spirito erompe sconvolgendo le traiettorie unidirezionali del tempo, dove le asimmetrie del destino possono riassestarsi, dove i segni esteriori diventano simboli di una persistente eternità sottesa alle nostre vite. Accade che quella parola, pur così duttile a ogni suggestione sensoriale paesaggistica artistica, pronta a tentare la trascendenza attraverso saldature sinestetiche, da ultimo rifletta metalinguisticamente sui propri stessi limiti, su una paralizzante afasia.
La redenzione può allora essere possibile solo attraverso la compassione, elevata qui a esperienza totalizzante: perché l’anima, prima ancora che abbandonarsi all’empatia con un altro essere umano, vibra con le luci dell’amata Cracovia – cui è dedicato un cammeo di sincera commozione –, coi fregi arabescati di Villa Rufolo, col bugnato di Firenze, con la ventosa Varsavia, con piogge dorate e cristalli di ghiaccio, cieli mediterranei e crepuscoli nordici, sentori d’ambra e profumi di gelsomini.
Alla musica, sopra tutto, è consegnata la lancia che fende il velo della nostra cecità e schiude il nostro personale altrove.
Anna Quaranta
Fondazione Accademia Internazionale di Imola