L'opera di Anna Ruchat sfugge alle catalogazioni della narrativa così come alle sue forme. Composizione contrappuntistica a tre voci e tre sezioni, azzarderebbe chi vuole approssimarsi all'esattezza: nella prima parte Sofia è la bambina che vive - così diversa - con sua madre, e così prossima a chi non c'è. Nella sua vita avvertiamo, accanto a lei, una presenza vaga, mancante. Una voce arcana che si infiltra dalle righe del rapporto militare di un incidente aereo, e si materializza nella seconda parte in parole che ci arrivano dall'ombra di ciò che è stato: è il padre di Sofia, che ci racconta la sua versione dell'incidente. Finché le due voci e le linee narrative si ricongiungono, per sovrapporsi nello stretto finale della presa di coscienza che tutto risolve e conclude: Sofia-Anna, ora adulta, si mette per caso, o solo per destino, sulle tracce di quella voce, del padre perduto prima ancora del possesso e lo incontra nei luoghi del suo ultimo volo, nelle carte di un archivio, nei ricordi degli altri, ripercorrendo all'inverso e come in negativo una identica mappa che scopre chi non ha forma sensibile ma esiste ed è umano, come gli spettri..