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“Ogni mese, ogni settimana, decideva di aprire gli occhi per vivere un altro giorno nel mondo. Lo faceva anche quando si sentiva così male che, a volte, era come se il dolore lo trasportasse in un altro stato, nel quale tutto, perfino il passato che cercava disperatamente di dimenticare, sembrava assumere i toni grigi e sbiaditi di un acquerello.”
Annoverato dal Guardian tra i 100 migliori romanzi del XXI secolo, Una vita come tante è diventato in breve tempo un libro culto in tutto il mondo. Bestseller assolutamente inaspettato, verrebbe da aggiungere, perché il romanzo di Hanya Yanagihara si presenta al lettore con tutte le difficoltà e le ruvidità di una lettura impervia. Una vera cronaca della sofferenza, una storia di dolore che fa precipitare nell’abisso dell’animo umano, lunga più di 1000 pagine, che spaventano chiunque.
Eppure, Una vita come tante riesce proprio dove non ci aspettava. Perché incatena chi legge, entra sotto la pelle e fa male, ma allo stesso tempo è ipnotico e la forza della storia e della scrittura sovrastano di prepotenza qualsiasi ostacolo, tanto che ci si ritrova, chiusa la maratona di lettura, a desiderarne ancora. Perché le oltre 1000 pagine non bastano.
È questa, in estrema sintesi, la misteriosa alchimia del libro, un’esperienza di lettura dalla potenza devastante che lascia il segno sui lettori, divisi tra adorazione e odio, ma incapaci di restare indifferenti.
Hanya Yanagihara racconta le vicende di quattro amici, Malcom, Willem, JB e Jude, che si incontrano al college, creano una di quelle fratellanze possibili solo in giovinezza: ragazzi come tanti, alle prese con i propri sogni di carriera e di successo. Malcom che vuole diventare architetto, Willem che serve ai tavoli sperando di calcare il palcoscenico, JB dall’animo haitiano e dalle stravaganze d’artista, Jude che vuole diventare avvocato. Ma se all’inizio il centro della narrazione è sui tre amici, il loro passato, le tribolazioni familiari, la visione del futuro e la solitudine della crescita, Jude resta nell’ombra, quasi fuori fuoco. È impercettibile il cambio di prospettiva della storia, che inesorabilmente, a piccoli tratti, lo porta in primo piano facendone il vero e assoluto protagonista.
È misterioso, Jude St Francis, nessuno conosce il suo passato, è un ragazzo magnetico e solitario, dalla bellezza abbagliante, ma sofferente nel corpo, vittima di crisi di dolore violentissime, e di atti di autolesionismo continui. Attorno a lui ruotano gli amici, impegnati nella costruzione di se stessi, così come nel rispettivo accudimento, ma soprattutto nella protezione di quello che sembra il ragazzo più fragile e affascinante tra di loro, bello, delicato e introverso. Essere amici di Jude significa accettare di essere tenuti a distanza, tutelarne i silenzi, i misteri: lo sanno, e rispettano ognuno a modo suo, il bisogno di riservatezza del compagno. Chi per estro o malafede, disattenderà questo tacito impegno, non sarà negli anni mai perdonato.
“Ciascuno di loro - Malcolm con le sue casette, Willem con le sue ragazze, JB con i suoi quadri e lui con i rasoi - cercava una forma di conforto, qualcosa che gli appartenesse completamente e che tenesse lontane la grandezza terrificante e l'impossibilità del mondo esterno, lo scorrere implacabile dei minuti, delle ore, dei giorni.”
Storia di amore e formazione, Una vita come tante si spinge in profondità alle radici del dolore e in quelle dell’amore, facendole andare insieme, in un affresco che attraversa gli anni, racconta una vita, e insieme più vite, che non hanno nulla di ordinario, non sono “Little Life” ma immensi percorsi alla ricerca della salvezza dall’inferno.
È con la violenza stroboscopica di flashback improvvisi che vengono svelati frammenti di verità su Jude, quell’abisso di abusi e intollerabile malvagità che l’hanno portato a essere chi è, e non, con il doloroso lapsus che lo ossessiona, cosa è. Perché la cicatrice più oscena non è quella che deturpa la pelle ma quella che viola l’anima con il senso di colpa, come se quel dolore partisse da lui. Convincersi di meritare il male: in questa autodistruzione è la grandezza sconfinata del dolore, un luogo oscuro abitato da creature della propria mente, che chiedono altro dolore come sollievo.
Non bastano gli amici, non basta l’amore, nemmeno poter essere chiamato figlio, perché non esiste balsamo all’orrore per Jude, cresciuto nella convinzione che è proprio quell’orrore a definirlo, come testimonia la geografia della violenza disegnata sulla pelle: il suo è un assioma dell’uguaglianza che non ha redenzione, ma tiene inchiodato al peccato. X=X, siamo quello che abbiamo vissuto, uguali a noi stessi per sempre, a prescindere da quello che facciamo, a prescindere da chi ci ama e allevia le nostre pene, a prescindere da quanti fatti della vita mettano spazio siderale tra noi e il passato.
“La
vita è così triste, pensava in quei momenti. È così triste, eppure continuiamo
a viverla, tutti: le restiamo attaccati, tenacemente, cercando qualcosa che ci
offra un po' di sollievo.”
E se l’autrice ha da un lato la capacità di non indugiare troppo sui fattacci del passato, nutrendoli anche di dissolvenza per renderli ancora più carichi di sporcizia e sofferenza, dall’altro ha la capacità di lavorare di intermittenza con le tregue dell’amore, e dell’amicizia, dove emergono accanto all’amato Willem, Harold e Andy, due anime buone, che sono una famiglia, un cordone di sicurezza, personaggi di straziante umanità. E se non basta l’amore a redimere il male, tanto più in chi è cresciuto mescolandoli e confondendoli, resta comunque, a conforto di chi va e di chi sceglie di restare, la convinzione che non si va avanti che per gli altri. Sono loro la motivazione più profonda per mettere un passo davanti all’altro, per renderci degni del loro attaccamento, nonostante tutto.
È in questa traccia che si nasconde, se non l’happy end che sarebbe inadeguato, una voce di consolazione, e un riscatto dalla nostra solitudine: ridondante, eccessivo, sinuoso nella scrittura e nella struttura da retrospettiva, melodrammatico e realistico, Una vita come tante è impossibile da catalogare, come il suo protagonista Jude, emblema di un post umanesimo senza identità.
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