"La mia storia si conclude con il mio ultimo trasferimento al carcere delle Nuove di Torino, da dove vengo scarcerato il 25 aprile 1981. Venti giorni dopo entro nelle Brigate Rosse come rivoluzionario a tempo pieno... ma questa è un'altra storia." Terminava con questo finale aperto "La mia cattiva strada" l'avventuroso memoir di Marcello Ghiringhelli, rapinatore e poi brigatista. Ghiringhelli ha tutto quello che ci vuole per essere un personaggio letterario di quelli tosti: cresciuto in un ambiente popolare antifascista alla periferia di Torino, è stato operaio di fabbrica fin dalla tenera età, legionario nella guerra d'Algeria a 17 anni, disertore a 18 anni, rapinatore e gangster del milieu franco-piemontese dai 18 ai 40 anni. Questo secondo capitolo della sua vita è quello meno noto, inizia con l'uscita dal carcere e affronta il periodo della sua militanza nelle Brigate Rosse, nel periodo in cui la lotta armata ha già iniziato la sua fase discendente e, oltre ai conflitti quotidiani con le forze dell'ordine, si assiste a diversi scontri in carcere e fuori tra le diverse anime dei gruppi legati alle Br, passati da partito della guerriglia ad arcipelago di forze centrifughe, in lotta tra loro. Sono pagine ricche di azione, che raccontano la clandestinità e la militanza senza sconti, fondendo realismo e romanzo di genere come nei migliori polar.