Nel libro "Si può fare..." l'autore voleva passare il messaggio che tutto ciò che ci viene in mente si può realizzare (anche un cammino per un non deambulante), che non è una buona idea lasciare un sogno nel cassetto, solo perché a nessuno è mai venuto in mente o effettivamente è un po' complicato da realizzare, soprattutto quando si hanno degli amici stupendi che ti appoggiano e ti supportano. Nel "sequel" vuole passare il messaggio che non si rischia di rimanere delusi da una seconda esperienza, simile a una venuta molto bene, solo se non si fanno paragoni, se non la si mette a confronto con la precedente, che è stata quasi perfetta. È un po' come la sua nuova vita da disabile, che vale sempre la pena di essere vissuta, solo se non la si mette a confronto con la precedente. Chi può dire se la sua vita e ciò che era prima (cioè concentrato sulla attività fisica e sull'aspetto esteriore) o la sua nuova vita da disabile e ciò che pensa ora (cioè di rallentare un attimo per dare più spazio al cervello e al ragionamento), era meglio o peggio? Non è meglio o peggio, ma solo diversa.