Accanto al mercante, al soldato, al missionario, al funzionario distaccato negli insediamenti oltremare, si profila in Europa nell'ultimo quarto del Settecento una figura inedita: l'orientalista. Egli insinua nella coscienza europea il disagio di misurarsi con una diversità che non è più solo quella del selvaggio rispetto al civilizzato - com'era avvenuto all'epoca delle grandi scoperte geografiche nel Cinquecento, e neppure quella del pagano dell'Asia rispetto al credente cristiano, ma è una diversità che mina il primato etnocentrico europeo e impone alla civiltà del vecchio continente di misurarsi con modelli diversi di cultura, con umanesimi attecchiti fuori del solco greco-ebraico-cristiano dove si fronteggiarono nella storia gli archetipi di Atene e Gerusalemme. Benché la filosofia accademica nel vecchio continente sia rimasta riottosa a misurarsi con sistemi di pensiero estranei all'Occidente, l'apertura a una prospettiva non insulare di discipline quali la linguistica, l'archeologia, la paleontologia, la musicologia e la stessa teologia - come mostrano i valenti coautori di questa quadrilogia storico-comparativa , ha consentito alle scienze umane nel complesso di superare il pregiudizio della 'minorità' filosofica, letteraria ,artistica, estetica e spirituale dei popoli della grande Asia.