Un motteggio proferito da Gian Lorenzo Bernini sul suo antagonista Borromini fornisce un promettente incentivo per un'analisi morfologica atta a rintracciare alcuni aspetti essenziali della poetica dell'architetto più ermetico e ammaliante del barocco romano. L'appellativo "tagliacantone" riservato al rivale - epiteto arguto, benché beffardo - mira alla pratica quasi ossessiva, con la quale l'architetto risolve in modo coerente ma spesso insolito l'articolazione degli angoli. Per mezzo di smussamenti obliqui, arrotondamenti e strascicamenti vari cerca di eluderli per garantire continuità della scansione parietale, oppure propende a enfatizzarne la potenziale funzione di cerniera della struttura spaziale. Borromini si basa sul concetto che un edificio vada inteso come un corpo organico, nel quale ogni particolare contribuisce al funzionamento vitale dell'insieme. Incardinate su una simile tesi mimetica, le sue invenzioni acquisiscono un'eloquenza prettamente concettuale e, a volte, addirittura metaforica.