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Fantasioso, picaresco, filosofico: L’inventore di storie di Charles Lewinsky seduce con la storia e con l’immaginazione. Raccontando le avventure di Eusebius, “Sebi”, nel villaggio di Svitto nel 1300, celebra la parola, il suo utilizzo potentissimo, facendo dell’arte di narrare un mezzo per sopravvivere.
Sebi non è adatto al lavoro dei campi, e la vita in un convento si rivela di una violenza traumatica: apprendista nella bottega di un fabbro, sembra poi essere destinato a succedere al becchino del paese, un futuro a scavare fosse. Ma Sebi non ci sta, la sua mente è piena di fantasia, è affascinata dalle storie. Soprattutto quelle di Anneli del Belzebù che vagabonda da un villaggio all’altro intrattenendo la gente in cambio di cibo. Le storie di Anneli finiscono sempre con il diavolo che porta l’uomo alla rovina, e ne ride, come solo il diavolo sa fare, e con Anneli che si abbuffa prima di rimettersi in cammino, lasciando la gente a riflettere sulle immagini partorite dal suo racconto.
“Che ne è dell'uomo che è stato abbindolato dal diavolo non lo racconta. Ora potrei dirle che l'ho visto con i miei occhi. Una cosa da strappare il cuore.”
L’inventore di storie è un libro sulla narrazione, sul suo potere di creazione, di spettacolo, di invenzione. Ma Lewinsky aggiunge un tassello importante e rivelatore: la narrazione ha il potere di costruire la storia, aggiustando e manipolando la realtà, creando verità alternative, comode, strategiche.
La seduzione di questo romanzo, che procede per brevi capitoli, con l’andamento dei cantastorie popolari, risiede proprio in questo limbo tra realtà e finzione, dove tutto è possibile. Innamorarsi dei capelli di una ragazzina, adottare una colomba bianca, dedicare un monumento a una bimba mai nata, raccontare di un diavolo bambino che gattona all’inferno.
Tutto questo fa Sebi, alla ricerca della sua natura, della “forma” di uomo a cui assomigliare: è ancora un ragazzino, ma stringe coraggiosamente amicizia con Mezzabarba, il guaritore senza dimora dal passato sciagurato e dall’aspetto ripugnante, che gli insegna il gioco degli scacchi, e il valore dell’onestà. Accanto a Mezzabarba Sebi assiste a guarigioni, vede costruire protesi, per permettere di camminare a chi striscia, e alabarde per combattere come diavoli. È un novizio che aspira alla scrittura, ma viene messo a curare i maiali, e a occultare cadaveri. È il fratello minore di Geni e Poli, che sono le rappresentazioni di due umanità opposte, saggio e composto uno, scavezzacollo e guerriero l’altro. È un promotore che di villaggio in villaggio racconta prodotti e intrattiene con il flauto.
Ma è soprattutto un giovane, che nel 1300 come ora, si interroga sul significato e sul dolore del crescere, apre gli occhi sulla realtà più dura, non accetta le ingiustizie, ma si risolve ai compromessi più duri per amore.
“Ho chiesto al Mezzabarba da cosa dipendesse il fatto che negli ultimi tempi non sapevo cosa farne di me e della mia vita e lui ha risposto che probabilmente era perché stavo diventando grande.”
È quando Sebi si trova in mezzo alla rivolta contro gli Asburgo, che Lewinsky gioca la sua carta più potente, e dimostra come la storia si costruisce, passando di bocca in bocca, arricchendosi, di dettagli e di testimonianze, trasformandosi da invenzione a storia.
La realtà violenta e guerriera della Svizzera del 1300 è vista con gli occhi di un ragazzino, e trasfigurata dalla sua fantasia e questa caratteristica porta L’inventore di storie in una dimensione senza genere, tra romanzo storico e di formazione, con tante efficaci deviazioni nel territorio del fantastico e dell’allegorico che esorcizza le paure e rende più accettabile la fame, la malattia, le violenze.
Lewinsky fa di tutto l’insieme, di avventure, novelle, battaglie, preghiere, uno scenario fertile per riflessioni sull’avidità, sul potere, sul rispetto e sulla prevaricazione umana, ma soprattutto sulla necessità di ritagliarsi un proprio ruolo, per disegnare il proprio destino: per questo accanto a Sebi, che è un personaggio brillante, arguto, pieno di leggerezza di coraggio, spicca Mezzabarba, uomo del bosco, un misto di intrigo e sofferenza, genialità e saggezza. È lui la guida, ed è il vero protagonista di questo romanzo.
“Mi sento perfettamente a mio agio solo quando posso limitarmi a guardare senza dover partecipare. A volte penso di essere sempre e ovunque fuori posto, ma forse il Mezzabarba ha ragione e questo fa solo parte del diventare grandi”.
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