Un giovane pittore, lasciato dalla moglie, fa i bagagli, sale in macchina e se ne va dalla sua casa e dalla sua città. Girovaga per un po’, in una solitudine dolorosa, finché un amico non gli offre una sistemazione giusta per il suo bisogno di silenzio. Una casa in montagna, nel bosco, isolata da tutto. Ci ha abitato per lungo tempo il famoso pittore Amada Tomohino, prima che la demenza senile lo travolgesse.
L’atmosfera sospesa delle giornate ci restituisce l’essenza del mondo di Haruki Murakami, inquieto e fantastico. C’è un tumulo nel bosco, e sotto un buco profondo. C’è una campanella che suona nel cuore della notte, interrompendo il silenzio irreale. C’è una presenza che si definisce pura idea e vede tutto, affiorando da un dipinto, “qualcosa di simile a un disinganno”. Un quadro in stile nihonga riproduce l’assassinio del commendatore, ricreando una scena del Don Giovanni di Mozart nei più rigidi canoni della pittura tradizionale.
So bene dov’eri e cosa stavi facendo, è una frase che ossessiona il protagonista, un volto dal passato, che il suo pennello fa rivivere su tela. Un memento, un modo per fare i conti con i suoi errori. Il suo talento nei ritratti è quello di far affiorare l’idea del soggetto, il suo vero sé, come in uno specchio che restituisce la verità. Per questo come ritrattista ha una buona fama, e per questo il suo lavoro parte dalla conoscenza, dalla comprensione di chi ha di fronte, sedute di parole, prima che di colori.
Lo dimostra quando ritrae Menshiki, l’enigmatico vicino, che nasconde segreti e dolori con un’esistenza dorata e misteriosa in una villa troppo grande per lui, solo senza un passato e con un presente indefinito. Il risultato su tela è un’opera che sgomenta per la sua potenza.
La conoscenza di sé, del proprio sé più profondo è un viaggio complesso, che Haruki Murakami indaga attraverso un racconto di solitudini e di rimpianti. Vedersi nella propria essenza è ambizione e trauma, ossessione e mistero, viaggio al centro dell’oscurità. E’ discesa negli abissi interiori. Forse dal punto di vista concettuale questo è il romanzo più ambizioso di Haruki Murakami, che sacrifica la sua consueta creatività visionaria per lasciare spazio a ispirazioni diverse: da Alice nel paese delle meraviglie a Mozart, dal Grande Gatsby a Dorian Gray. Lo scrittore fa un passo indietro e lascia a loro il campo, ricreando e rivestendo questi omaggi di un velo di cupa immobilità, facendo muovere giovani adolescenti su una scena ambigua, entrambe Alice in the wonderland, speculari e sfuggenti, con un piccolo Stregatto che compare per un’ora nelle sembianze del commendatore.
Realtà e allucinazione si uniscono in questa storia di inquietudini che ci insegna come “la verità è una rappresentazione e la rappresentazione è verità”.
Il risultato è parziale, e il lettore dovrà avere la forza di sospendere il giudizio: bisogna attendere il libro due di questo enorme progetto per fermarsi e fare i conti con la mente sempre sorprendente di Haruki Murakami, a cui non si può non riconoscere la capacità di sconcertare e spiazzare sempre il lettore.
Alla fine è sempre tutto inutile? Qualunque tentativo?
Raccogliere acqua in un recipiente pieno di buchi ha qualche utilità?
Recensione di Francesca Cingoli