Non c’è nulla, a questo mondo, che si conservi per sempre così com’è.
La seconda parte del romanzo L’assassinio del commendatore, è un viaggio negli inferi dell’anima.
La narrazione riprende dalla casa nel bosco, dove il protagonista vive tra i ricordi del grande pittore Amada Tomohiko, in un tempo sospeso che gli serve per recuperare sé stesso, dopo la separazione dalla moglie.
Per un certo periodo della vita, anche il fatto di annullare sé stessi ha la sua importanza.
C’è il ritratto della piccola Marie da terminare, le conversazioni con il misterioso vicino Menshiki, i vecchi dischi di musica classica, le lezioni di pittura due volte la settimana. Il tempo trascorre così, pacato e ripetitivo, monotono nella sua lentezza.
Ma c’è sempre il Commendatore, che non è umano ma è un’idea, capace di apparire e travolgere il senso di tutto, indicando una strada per la verità.
È il Commendatore a spingere il protagonista ad affrontare i suoi fantasmi e scendere giù, dentro sé stesso, sottoterra, dove si nascondono i veri mostri.
Il secondo libro de L’assassinio del commendatore si tinge di ombre e di enigmi, e trova nella metafora la corretta visione per un’interpretazione della realtà che conosce solo il tempo come suo giudice.
Gli esseri umani riflettono, rimuginano su tante cose. Non possono farne a meno. Ma per capire che piega prenderanno le cose, devono aspettare che passi del tempo. Tutto è nel futuro.
Il mondo umano è regolato da tre fattori, il tempo, lo spazio e le probabilità e il pittore attraversa i primi due, perdendo ogni riferimento per scoprire come le probabilità possono condurre al nulla, che è l’altra faccia della realtà.
In quella frattura che è un sottile interstizio, si può ritrovare un senso di sé, sanando le ferite, sconfiggendo i draghi, uccidendo le idee, per ricominciare guariti. Ed è l’incompiutezza la dimensione a cui si approda, perché il tempo non è niente, e la memoria è l’unica cosa che l’arte può fermare sulla tela.
Lì, in quell’incompiutezza che ha saputo liberare gli spettri della mente, guardarli in faccia e sconfiggerli, si cela il significato della vita.
“se il mio ritratto resta incompiuto, significa che non sarò mai compiuta neanch’io, non è fantastico?”
L’assassinio del commendatore si riscatta da qualche lungaggine e dalla lusinga della citazione con una risposta definitiva e appassionata di Haruki Murakami sull’essere umano e le sue paure più profonde: una guida dell’anima scritta con il coraggio visionario che è la sua firma, e che lo rende eternamente unico e geniale.
Recensione di Francesca Cingoli