L'affermazione dell'artista tedesco Anselm Kiefer secondo cui "l'art survivra à ses ruines", prima ancora di esprimere una speranza, rappresenta l'indice di un malessere e una inquietudine da tempo vigente nell'arte contemporanea. Infatti, la fine di ogni riferimento normativo sicuro e la conseguente condizione di incertezza hanno generato una profonda ansia derivata dall'anomala situazione in cui si sono trovate sia l'arte che l'artista. Quest'ultimo è un soggetto ansioso perché non sa se la sua è un'opera d'arte oppure soltanto una geniale trovata a cui la critica attribuisce valore artistico. Si può considerare dunque un artista anche se è legittimato unicamente da quel sistema mediatico-pubblicitario chiamato "mondo dell'arte"? Egli mantiene ben nascosta questa sua condizione patologica. Il suo farmaco è la glorificazione che gli deriva dall'élite culturale mentre la sua presunta guarigione coincide con il successo commerciale. Questa impossibilità di stabilire cosa è arte e cosa no apre la strada a esperienze estetiche le quali vanno a collocarsi oltre l'arte stessa, mettendo così in crisi quel sistema che ha fatto della sacralizzazione dell'opera il suo ideale. L'autore, chiamando a testimoniare alcune delle figure più emblematiche dell'estetica e rileggendo i momenti più problematici dell'arte contemporanea, arriva ad accreditare la promesse de bonheur implicita nel kitsch, così da fissare una situazione in cui arte e artisti sembrano essersi volatilizzati per lasciare agire in piena libertà il puro godimento dell'oggetto estetico.