Il cinema di Pietrangeli perlustrato a volo d'angelo da questo testo non sembra il cinema di un autore italiano. Compatto, determinato, ricco di volti e mai a corto del sapere di linguaggio e narrazione necessari a costruire film destinati a durare nel tempo come architetture memorabili, ricorda il percorso di autori di sagoma e statura inconfondibili: i giapponesi Kenij Mizogouchi o Mikio Naruse, il tedesco Ophuls. Tutti registi che nei loro film fanno del corpo e del destino delle donne un monile vulnerabile e prezioso con il quale scomporre lo spettro di una società, la trama di un'epoca, le linee di forza, di potere e di frattura di un mondo. Pietrangeli, intellettuale atipico [...] usa quel corpo per raccontare da una parte uno dei traumi più sorprendenti e violenti della società italiana ed europea [...] dall'altra ne fa il luogo di trasparenza e concentrazione dell'esistenza e delle sue pulsioni contraddittorie: il desiderio e la paura dell'abbandono, la fraternità e l'inganno, la fusione sessuale e la solitudine.