La vita di Anna è un susseguirsi di fughe. Fugge dalla violenza del patrigno e dal disamore della madre, da padroni lascivi che approfittano della sua condizione di serva bambina, dalle forze dell'ordine che vogliono riportarla a casa. Creatura selvatica e spaventata, orfana di una madre viva, come la definisce Donatella Di Pietrantonio nella sua densa introduzione, Anna riuscirà ad arrangiarsi e a sopravvivere in qualsiasi circostanza, ma porterà sempre sulle spalle il peso del vuoto affettivo che l'ha circondata sin dall'infanzia. Anche in età adulta rimane una persona solitaria, poco incline ad aprirsi, refrattaria agli affetti. Poi una malattia le toglie la voce ma le dà la forza di sfogarsi attraverso la scrittura, di raccontare quella stratificazione di traumi che è stata la sua esistenza. E ripercorrendo con la memoria quel corridoio buio, dopo tanti anni si pone infinite domande, si arrabbia e si dispera ma resta sempre umana, ancorata alla vita: «a un certo punto, un punto imprecisato si mette da parte la sofferenza e si comincia a vivere, se non fai così si è già morti, non tutti nascono rosa o orchidea, ci sono anche fiori che sembra che non valgano nulla, fiori che nessuno calcola, neanche vedono, ma sono importanti come qualsiasi altro fiore, non siamo belli, ma interessanti, non siamo profumati che importa ascoltiamo il profumo dell'altri, e impariamo, e io nella mia scellerata vita sono felice perché sì, non conosco l'amore quello che ho sempre desiderato non lo conosco, ma lo immagino».