Il calcio è immanente. Non fa distinzioni di genere, censo, provenienza o appartenenza. Vive in ogni parte del mondo, dalle periferie delle grandi città ai villaggi più remoti. È un viaggio nel sogno o nella realtà più cupa, dalla City di Londra alla periferia di Nuova Delhi. Ogni volta che si gioca una partita, piccoli brani di realtà apparente vengono rappresentati: a volte entrano nel mito, altre volte il lunedì seguente sono già dimenticati. Il calcio è una grande illusione, una storia inventata, una fantasia portata all'estremo della gioia o del dolore. C'è chi si ritrova per caso in strada dopo una finale vinta di Coppa del Mondo e chi segue la propria squadra anche nelle trasferte più lontane e complicate, chi ci pensa ogni tanto e chi non pensa ad altro. C'è chi odia il calcio a prescindere, chi lo guarda di nascosto, chi lo osserva da lontano, chi finge che non esista. Questo sillabario sghembo e poetico racconta le manie, le idiosincrasie, i rituali, le emozioni del tifoso - che per definizione è di parte - e parlando di calcio ci parla di noi, di mondi in apparenza lontani ma incredibilmente sovrapponibili, di una passione quasi inspiegabile, dell'assurda speranza in un domani vincente. E soprattutto della voglia e della necessità di partecipare a questo gioco, che è apparso sin da subito, e poi ogni giorno di più, una straordinaria metafora della condizione umana.