Provocatorio, scandaloso, politicizzato, addirittura pornografico. Il cinema di Pier Paolo Pasolini è stato bersaglio di critiche feroci e durature oltre che di azioni giudiziarie e asprissime polemiche, ma per comprenderne il più autentico significato di dirompente innovazione si deve andare alla radice della sua visione ideologica e al cuore della critica radicale che, con lucida e disperata spietatezza, muove alla società italiana degli anni Settanta. Le pellicole qui prese in esame costituiscono infatti l'arma illusoriamente più efficace e popolare che il regista brandisce contro l'omologazione, il conformismo pavido, il perbenismo democristiano, il clerico-fascismo e la "mutazione antropologica" in cui vede sprofondare il Paese, ormai piegato alla sola religione del consumo. I suoi film evocano nostalgicamente un mondo alternativo appartenente ad un passato trasformato in mito. Una realtà narrativa i cui protagonisti sono espressione di un popolo non corrotto dai disvalori borghesi, uomini e donne appartenenti ad un proletariato occidentale e del terzo mondo, ancora capace di esprimere una concezione autentica della vita.