Rea ha vent'anni, una vita comoda e un'unica grande ambizione: diventare scrittrice. Una notte lascia la casa dei genitori e prende un pullman verso la Città. Non farà più ritorno finché non avrà toccato il fondo e sarà riemersa con le sue forze. Il romanzo "I ritrattisti" grida la sua bellezza fin dall'incipit. In un rimbalzo continuo fra io narrante e terza persona, si può scorgere tutta l'universalità di sogni e frustrazioni che, nella loro progressione, danno forma a fatti e personaggi, i quali assumono caratteristiche via via più potenti. Accade, infatti, che la protagonista sia sempre più seducente, che ci si innamori di lei e del suo potenziale divenire, così come dei suoi amici scapestrati, con i quali si vorrebbe passare il tempo a zigzagare fra passatempi ludici e imprevisti drammatici. E così si va avanti, senza mai voler concludere davvero, per il timore di trovarsi improvvisamente soli; e procedendo con fervore nella lettura di un romanzo limpido e frizzante, ma anche commovente, ci si pone la domanda fatidica di chi subisce il fascino di una narrazione: "Come andrà a finire questa storia?" (Mirea Borgia)