"Hard Rain Falling", libro d'esordio di Carpenter pubblicato nel 1966, è un racconto dostoevskiano duro come il petrolio, sul delitto, sul castigo e la ricerca di una redenzione impossibile di fronte alla brutalità del sistema. A Portland, nell'Oregon degli anni Quaranta, Jack Levitt è un adolescente rimasto orfano che vive di espedienti, vagabondando tra alberghi da quattro soldi e squallide sale da biliardo. Quando conosce Billy Lancing, un giovane nero scappato di casa e straordinario truffatore di biliardo, i due diventano amici, e insieme si sentono invincibili. Ma, come spesso accade quando sei costretto a vivere ai margini, le cose finiscono male e Jack viene rinchiuso in riformatorio, dove trascorre anni di abusi e isolamento. Nel frattempo Billy ha scalato l'ascensore sociale ed è entrato a far parte della classe media: si è sposato, ha avuto un figlio, ha acquistato un'attività e si è fatto un'amante. Jack, invece, ha provato a diventare un boxeur a San Francisco, ma non ha funzionato. Entrambi scoprono di non poter sfuggire al loro passato tormentato, perché una volta che sei fuori dal sistema, nessuno ti aprirà una porta per rientrarci. Ogni tuo fallimento sarà ricondotto al tuo essere un fallito, in una spirale strutturale che non guarda in faccia nessuno. I loro strazianti percorsi, interiori e reali, convergeranno di nuovo in una cella di San Quentin, fondendosi in un'intimità bruciante e una nuda vulnerabilità. Un romanzo criminale, un romanzo carcerario, un romanzo hard-boiled, ma anche e soprattutto un romanzo sulla solitudine, sull'impotenza, sulla spersonalizzazione del sistema, sulla colpa e sulla punizione, sulla razza, la sessualità, l'essere genitori, l'amicizia, l'empatia e l'amore.