Il saggio di Valeria Bello presenta una panoramica affascinante sulle tensioni culturali e filosofiche che hanno caratterizzato l'Europa dal Quattrocento al Settecento, mettendo in luce il dualismo di pensiero che ha attraversato questi secoli. Da un lato, si riscontra il tentativo di "civilizzazione" degli indigeni americani da parte degli europei; dall'altro, emerge nel Settecento il concetto di "buon selvaggio", portato avanti da figure come Algarotti e Voltaire. Questo ideale rappresenta una riflessione nostalgica e idealizzata sulle civiltà americane, esaltando il loro stile di vita, percepito come semplice e innocente. La contrapposizione tra la celebrazione della bellezza della vita primitiva e la condanna delle pratiche ritenute barbare evidenzia l'ambivalenza degli approcci europei verso il Nuovo Mondo. Le memorie dei tre viaggiatori italiani analizzate dall'Autrice rivelano il volto di epoche segnate dalla rivoluzione del pensiero, grazie alla visione illuministica del Nuovo Mondo come "terra promessa", che suggerisce non solo una proiezione di speranze e ideali, ma anche un tentativo di riscoprire la felicità e la semplicità perdute. Questo tema risuona ancora oggi nelle discussioni su progresso e sviluppo. Denso di contenuti, il saggio offre spunti per profonde riflessioni sul colonialismo, sulla cultura, sull'identità e sull'umanità che, in nome della fede e della propria cupidigia, ha spazzato via intere popolazioni dalla Terra.